Quale cura per il mal di schiena?
Oggi le proposte sono numerosissime, ma non tutte hanno fondamento scientifico. E quelle davvero valide vanno scelte in base alle esigenze del caso
Se c’è da curare un mal di schiena, un dolore alla cervicale, o una spalla, le possibilità di trattamento appaiono infinite: terapia manuale, esercizio fisico, tecarterapia, ultrasuoni, osteopatia, idrochinesiterapia, solo per citare alcune fra le più note. Ma quali funzionano davvero? Domanda cui è difficile rispondere: ci hanno provato gli esperti italiani riuniti di recente al San Raffaele di Milano per il congresso della Società Italiana di Fisioterapia, in collaborazione con la sezione Lombardia dell’Associazione Italiana Fisioterapisti, cercando di fare il punto su quale dovrebbe essere il percorso di cura.
Il 30% delle assenze lavorative dipende dalla lombalgia
La necessità di chiarezza deriva dalla diffusione dei problemi muscolo-scheletrici che richiedono un intervento: il mal di schiena, per esempio, prima o poi colpisce l’80% della popolazione. Spesso si tratta di persone giovani, fra i 30 e i 45 anni, nella fascia d’età più produttiva: bloccarsi per un dolore che non passa è perciò un costo economico non indifferente, tanto che si stima che il 30% delle assenze lavorative dipenda proprio dalla lombalgia. Una buona fisioterapia aiuta quando il problema diventa cronico e in alcuni casi anche in fase acuta, ma, come spiega Roberto Gatti, presidente SIF e coordinatore del Corso di Laurea in Fisioterapia dell’Università Vita-Salute San Raffaele: «Se poniamo che le proposte terapeutiche per combattere il mal di schiena siano dieci, due o tre non servono affatto; tre o quattro vanno per la maggiore, ma non hanno conferme scientifiche; altre tre o quattro funzionano ed esistono effettivamente prove della loro efficacia. A oggi però non sappiamo dire esattamente quale delle tecniche “approvate” dalla scienza sia superiore alle altre».
Come orientarsi
Un bel caos, come riconoscere a quale categoria appartiene il metodo che ci viene proposto? «Il paziente non può valutare da solo se un approccio sia valido o meno, l’unica strada è affidarsi a un professionista con una formazione adeguata – risponde Gatti –. Purtroppo capita spesso di ritrovarsi in una sorta di “gioco dell’oca” in cui si passa dal medico di base al neuroradiologo, poi si rimbalza dall’osteopata, quindi dal fisioterapista: un percorso accidentato che fa perdere mesi in cui la qualità di vita cala, con il rischio che il problema diventi più serio e comporti alterazioni permanenti. Chi visita un paziente con mal di schiena per la prima volta dovrebbe valutare dov’è il dolore, quali limitazioni ci siano al movimento, alla forza, alla coordinazione; considerare l’età, il tipo di lavoro svolto, la postura; capire se ci sono controindicazioni all’esercizio fisico o sia opportuno intervenire con un intervento chirurgico. L’essenziale è poi capire come occuparsi del singolo caso: le linee guida per indirizzare a un tipo di trattamento o all’altro esistono, purtroppo spesso sono ancora poco condivise fra professionisti». L’unica altra arma a disposizione dei pazienti può essere quella di chiedere quali siano le prove scientifiche a supporto dell’efficacia della terapia proposta. «La ricerca in riabilitazione muscolo-scheletrica è una cenerentola, ma gli studi esistono e aumentano continuamente di numero: il fisioterapista dal canto suo può, e deve, scegliere fra metodi con un razionale scientifico che siano passati al vaglio della sperimentazione clinica, senza irrigidirsi a favore dell’uno o l’altro ma cercandone il minimo comune denominatore. Magari utilizzando nello stesso paziente tecniche diverse non in conflitto fra loro, come possono essere la terapia manuale e l’esercizio terapeutico», conclude Gatti.
Il caso particolare di una forte rigidità al mattino che dura ore
Il mal di schiena qualche volta può essere spia di una malattia reumatica. È il caso delle spondiliti, o spondiloartriti. In questo caso le articolazioni non soffrono per cause meccaniche o traumatiche, bensì per una infiammazione cronica, in genere su base autoimmunitaria. Il dolore in queste patologie è persistente e si accompagna a una marcatissima rigidità mattutina, che dura alcune ore, mentre migliora nel corso della giornata. Le spondiloartriti colpiscono di preferenza, anche se non esclusivamente, i maschi fra i 20 e i 40 anni. Spesso vengono riconosciute dopo molti anni mentre è importante che siano diagnosticate in tempo per importante che siano diagnosticate per tempo in modo da evitare un progressivo irrigidimento della colonna vertebrale. Per distinguerle da altri mal di schiena, oltre che dei sintomi, ci si avvale di esami radiologici ed esami del sangue. La terapia si avvale di antinfiammatori a forti dosi per togliere il dolore e permettere una ginnastica specifica. Nei restanti casi oggi ci sono farmaci biologici efficaci.
fonte: (Corriere Salute 16 Ottobre 2015)